Happy Hour #42: Le follie di Joker: Folie à deux
Focus sul sequel del Leone d'oro del 2019, mentre l'Italia sceglie Vermiglio per rappresentarci agli Oscar
Vermiglio, opera seconda di Maura Delpero (di cui avevamo parlato bene da Venezia, qui), è il film designato dal Comitato di selezione istituito dall’ANICA (e composto da appena 11 persone: Pedro Armocida, Maria Rita Barbera, Cristina Battocletti, Giorgia Farina, Francesca Manieri, Guglielmo Marchetti, Paola Mencuccini, Giacomo Scarpelli, Giulia Louise Steigerwalt, Alessandro Usai, Cecilia Zanuso) per rappresentare l’Italia ai prossimi premi Oscar nella categoria Miglior film internazionale. L’anno scorso il ruolo era toccato a Io, Capitano di Matteo Garrone, che era riuscito ad arrivare nella cinquina dei nominati, dovendo poi arrendersi di fronte alla corazzata La zona di interesse di Jonathan Glazer (di cui avevamo parlato qui). La sensazione è che quest’anno la concorrenza sia forse meno spietata, ma comunque temibile: è ancora prestissimo, ma se dovessimmo nominare due favoriti punteremmo su Emilia Perez di Jacques Audiard, candidato dalla Francia, e The Seed of the Sacred Fig di Moahamed Rassoulof (che è iraniano), il film osteggiato dal regime degli ayatollah (ne avevamo parlato qui) candidato dalla Germania. Il 17 dicembre verrà annunciata una shortlist di 15 titoli, mentre il 17 gennaio verranno comunicati i 5 nominati: arrivare a quel punto per Vermiglio, che ha sopravanzato il titolo che per “status” sembrava favorito per rappresentare il nostro paese, ovvero Parthenope di Paolo Sorrentino, sarebbe un’impresa davvero rimarchevole.
Dopo il passaggio veneziano di settembre arriva in sala Joker: Folie à deux, il seguito del film del 2019 che era riuscito nel miracolo di coniugare grande successo commerciale (oltre 1 miliardo di dollari di incasso), allori festivalieri (vincendo il Leone d’oro a Venezia), buon riscontro di critica (seppur risultando comunque divisivo) e un ottimo passaggio nella stagione dei premi, portando l’Oscar a Joaquin Phoenix e rendendo Joker il secondo personaggio della storia degli Oscar a consentire a due attori che lo hanno interpretato (l’altro è stato Heath Ledger, vincitore della statuetta nel 2009 per la sua parte in Il Cavaliere Oscuro, dopo essere passato a miglior vita) di portare a casa un riconoscimento: l’altro era Vito Corleone (per la cui interpretazione furono premiati Marlon Brando e Robert De Niro), mentre nel 2022 si è aggiunta a questa lista esclusiva Anita di West Side Story, che ha portato il premio a Rita Moreno e Ariana DeBose (in foto) per i due capolavori immortali di Robert Wise (1961) e Steven Spielberg (2021).
Nella breve recensione da Venezia non ero stato morbido nei confronti del film. A distanza di un mese, dopo averlo rivisto (e magari aver cambiato idea su alcune cose), nella recensione di oggi (con spoiler, segnalati, dal terzo paragrafo) cercherò di argomentare con più profondità. Nelle prossime settimane arriveranno nei cinema due pezzi da novanta dal Festival di Cannes: All we imagine as light di Payal Kapadia, che ha vinto il Grand Prix, e il già ampiamente segnalato (e da chi scrive attesissimo) Megalopolis di Francis Ford Coppola, di cui parleremo sicuramente nel prossimo numero di Happy Hour.
Joker: Folie à deux
di Todd Phillips
Joker: Folie à deux inizia con un corto animato d’autore (realizzato da Sylvain Chomet, nientemeno) intitolato “Io e la mia ombra”, in cui Arthur Fleck, invitato in tv da Murray Franklin, viene chiuso in un baule dalla sua ombra, che agendo di volontà propria si veste e si trucca come Joker, dirigendosi poi verso il palco e baciando una donna contro la sua volontà. Quando i due fanno i conti di fronte alle telecamere, la polizia interviene massacrando Arthur di botte. Appare dunque evidente come questo film nasca con un compito quasi impossibile: bissare il successo (anzi, i successi: di pubblico, di critica, di premi) del predecessore, la cui ombra si staglia prepontentemente sul lavoro di Phillips, Phoenix e soci. Per fronteggiare questo arduo compito, Warner Bros. si è affidata allo stesso duo attore-regista del primo film (Phoenix-Phillips), ha aggiunto al cast una delle star più famose al mondo (Lady Gaga, in foto, nei panni di Harley Quinn) ed ha triplicato il budget, portandolo dai 65 milioni del film originale ai 200 (!!) di questo Folie à deux. Ci si poteva aspettare che, di fronte a un capitale così ingente, Phillips (con il suo co-sceneggiatore Scott Silver) andasse sul sicuro, replicando le atmosfere scorsesiane del primo episodio, che ibridava scopertamente la New York di Taxi Driver con i risvolti di Re per una notte, con la presenza di Robert De Niro (nel ruolo che fu di Jerry Lewis nel film del 1983) a benedire l’operazione. Sorprendentemente, invece, Joker: Folie à deux sceglie di mescolare le carte, lanciare il mazzo dalla finestra e ribaltare il tavolo da gioco.
Il primo, macroscopico stravolgimento è ovviamente nel genere adottato, ovvero il musical, con lo sguardo rivolto saldamente a Spettacolo di varietà di Vincente Minnelli, mostrato anche esplicitamente in una scena (e da cui è ripresa più volte l’iconica That’s entertainment!). Qui però (a parere di chi scrive) si iniziano a intravedere le prime crepe della ardita operazione di Phillips: se non possiamo che rimanere ammirati dall’audacia di un cinefumetto da centinaia di milioni di dollari che sceglie di intraprendere una strada poco (o forse proprio per nulla) battuta da produzioni di questo tipo, ci sembra però che il film non sfrutti a pieno questo potenziale, esplicitando in maniera troppo netta la natura mentale delle sequenze musicali (di per sé tutt’altro che memorabili), che avvengono (quasi) tutte esclusivamente dentro la testa di Arthur. Che senso ha prendersi un rischio così grande se non si è disposti a sfruttare fino in fondo la forza sovversiva dell’unico genere capace di mischiare sogno e realtà senza soluzione di continuità?
L’altro aspetto che differenzia Folie à deux dal primo film su cui vogliamo porre l’accento è il rapporto con la suspense, che è inestricabilmente legata in questo caso a quello con la mitologia di Batman. Il fatto che il film del 2019 si intitolasse proprio Joker, e non, ad esempio, Arthur non era solo un espediente per portare le persone al cinema. Gli spettatori che si sono seduti in sala a guardare Joker erano consapevoli, a differenza del protagonista (e qui sta la natura puramente hitchcockiana del meccanismo che il titolo scatenava), che Joaquin Phoenix avrebbe compiuto la trasformazione da Arthur Fleck a Joker. Tutto il film era pertanto costruito sull’attesa di questo sconvolgimento. In questo Folie à deux invece (spoiler da qui in avanti) non c’è spazio per la suspense. Come in una puntata del podcast Indagini su un caso di cui conosciamo già il colpevole, assistiamo al processo intentato dallo Stato di New York nei confronti di Arthur Fleck per gli omicidi commessi da Arthur/Joker nel corso del primo film. Lo scopo del processo dovrebbe essere stabilire se la personalità di Arthur è realmente scissa, e dunque se lo si possa ritenere responsabile o meno (lui, Arthur Fleck, e non Joker) dei delitti commessi. Non siamo di fronte però a un procedurale alla Sidney Lumet: l’estenuante sequenza processuale, corredata da testimonianze ridondanti di alcuni dei personaggi comparsi nel Joker del 2019, viene trasformata in farsa quando Arthur, stanco di sentire la sua avvocata fare rimandi alla sua infanzia terribile e al rapporto con la madre, decide di difendersi da solo nelle vesti di Joker, dando al pubblico dentro e fuori l’aula di tribunale, che alla fine si rivela più pericoloso (e più tossico, come ogni fandom che si rispetti) di Joker stesso, quello che voleva fin dal principio.
Forse il punto di Joker: Folie à deux è proprio qui: nell’impossibilità di scindere persona e personaggio, di dare a entrambi i pubblici di riferimento (quello dei festival e quello delle multisale con i popcorn) ciò che vorrebbero, di prendere una strada autonoma e spiazzante (il musical, appunto) liberandosi dall’ombra del Joker del 2019, da cui l’unica conclusione possibile: l’autosabotaggio consapevole, veicolato anche da generi indigesti al grande pubblico di oggi, per disattendere ogni tipo di aspettativa verso un personaggio che alla fine (in una sequenza che però non è detto sia completamente reale: come è possibile che la guardia resti lontana per così tanto tempo senza insospettirsi?) non può fare altro che morire. Tutti gli ultimi venti minuti del film, in parte occupati da un virtuoso piano-sequenza che richiama alla memoria quello de I figli degli uomini di Cuaron, sembrano uscire direttamente dal finale del primo Joker, stridendo con quanto visto nelle due ore precedenti e creando quindi l’ennesima frattura che questo Folie à deux non sembra avere alcuna intenzione di sanare. Ci vuole follia per concepire un film come questo, nel mondo anestetizzato e iper-omologato dei blockbuster contemporanei (e a maggior ragione in quello ormai stagnante del cinefumetto). Un coraggio che non possiamo fare altro che ammirare, pur nella respingente imperfezione di un film scisso come il suo protagonista, diseguale, squilibrato, forse consapevolmente autosabotato o forse, semplicemente, non riuscito.