Happy Hour Speciale Cannes 77 #5: fa più paura Cronenberg o Trump?
Le recensioni dei nuovi film di Ali Abbasi e David Cronenberg, in attesa di Sorrentino
C'è un solo film italiano in concorso a Cannes quest'anno, ed è stato presentato nella serata di ieri: si tratta di Parthenope di Paolo Sorrentino. A ventitré anni dall'ultima Palma vinta dal nostro paese (La stanza del figlio di Nanni Moretti), arrivata a sua volta a ventitré anni dalla precedente (L'albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, ma l’anno prima aveva vinto Padre padrone dei fratelli Taviani) chissà che non possa essere proprio Sorrentino, in Concorso a Cannes per la settima volta (ma solo Il Divo entrò in palmarès, vincendo il premio della giuria) a riportare in Italia l'agognato riconoscimento. È stata anche la giornata di Costa-Gavras (in foto con la moglie e produttrice Michel Ray-Gavras), maestro del cinema di impegno civile novantunenne, omaggiato con una serie di documentari (il cui terzo episodio è stato mostrato al festival), a cui la Salle Bunuel ha dedicato una calorosa standing ovation, e della celebrazione delle Olimpiadi di Parigi, con la proiezione di Olympiques! Les jeux de France (documentario celebrativo incredibilmente piatto e retorico) in Salle Vardà alla presenza del presidente del comitato Parigi 2024, il plurimedagliato Tony Estanguet.
Su Parthenope speriamo di tornare domani, dopo averlo visto. Le recensioni di oggi sono dedicate ad altri due titoli in Concorso: The Shrouds, nuovo body horror di David Cronenberg (il cui senso si potrebbe riassumere chiedendosi: ma è davvero un body horror?), un altro che in tante partecipazioni sulla Croisette è sempre tornato a casa con le briciole, e The Apprentice, il nuovo film del pupillo cannense Ali Abbasi dedicato all'ascesa di Donald Trump. Inutile dire quale dei due faccia più paura.
The Shrouds
di David Cronenberg
Karsh (Vincent Cassell, acconciato in modo da assomigliare il più possibile al regista canadese) gestisce un cimitero avanguardistico (con tanto di ristorante annesso), in cui dietro lauto pagamento è possibile accedere a dei sudari tecnologici (gli Shrouds del titolo) che permettono di osservare il corpo del caro defunto in decomposizione tramite microcamere ad alta definizione. Per Karsh questo è anche un modo per rimanere vicino alla moglie Becca (Diane Kruger, che interpreta anche la sorella gemella Terry e l’assistente virtuale Hunny) scomparsa da ormai 4 anni, e che non riesce a (o non ha intenzione di) dimenticare. Un giorno, Karsh si accorge che sullo scheletro della sua amata defunta stanno crescendo delle strane formazioni ossee... Nottetempo, dei vandali misteriosi si introducono nel cimitero, violano alcune tombe (tra cui quella di Becca) e hackerano il sistema dei sudari. Arrivato in un punto della carriera in cui si interroga, anche esplicitamente (vedasi il corto The Death of David Cronenberg, su YouTube) sulla fine del suo corpo e del suo cinema, e dopo aver perso la moglie Carolyn Zeifman nel 2017, Cronenberg firma uno dei suoi film più personali, in cui alcuni tic del presente (qui il complottismo, in una improbabile macchinazione che coinvolge russi, cinesi e un fantomatico gruppo di terroristi ambientali islandesi) fungono da filtro necessario per trattare una materia narrativa troppo incandescente. Il risultato è un film profondissimo e stratificato, da una parte estremamente cerebrale, in cui Cronenberg sembra mettere in dubbio l'esistenza stessa del body horror nell'era digitale e dematerializzata della falsificazione delle immagini, dall'altra profondamente intimo e, infine, inevitabilmente e malinconicamente funereo.
The Apprentice
di Ali Abbasi
Tre regole: 1) “Attack, attack, attack!”, 2) “Admit nothing, deny everything”, 3) “No matter what happens, claim victory. Never admit defeat.” Questi non sono i comandamenti di Donald Trump (Sebastian Stan, che gioca al Tale-e-quale-show) all’inizio di The Apprentice (o meglio, non lo sono ancora), ma di Roy Cohn (Jeremy Strong), avvocato newyorkese responsabile della condanna a morte dei coniugi Rosenberg che introduce il giovane Donald nel giro che conta nella Grande Mela, tirandolo fuori con metodi non esattamente leciti da una grana col fisco che rischiava di costargli svariati milioni di dollari. Abbasi prosegue dunque a raccontare la scalata di The Donald verso il cielo di New York (letteralmente: lo sviluppo temporale del film coincide con la costruzione della Trump Tower) come il più classico dei rapporti allievo/maestro in cui l’allievo (The Apprentice, appunto) supera, divora e sputa il maestro in un crescendo di cinismo e crudeltà, che rendono il timido e astemio ragazzone biondo che sembra Robert Redford sempre più simile al tycoon che ha governato l’America per quattro anni (e rischia ora di tornare al timone per altri quattro). Ne risulta un biopic abbastanza convenzionale, salvato dalla medietà dall’interpretazione straordinaria di Jeremy Strong, che oscura nettamente quello che dovrebbe (?) essere il protagonista, rendendo The Apprentice più un film su Roy Cohn che su uno degli uomini più controversi e potenti del pianeta.