Happy Hour #17: The Killer e il Black Friday
Dopo un passaggio invisibile in sala, approda su piattaforma nell'indifferenza generale l'ultima fatica di David Fincher
Dopo l’anteprima in Concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, da cui è uscito senza premi ed incassando un’accoglienza tiepida della quasi totalità della critica, The Killer apparentemente ha avuto un breve passaggio in pochissime sale, per poi approdare finalmente su Netflix il 10 novembre. Il sodalizio tra la grande N e David Fincher, uno dei più importanti autori americani degli ultimi trent’anni, è ormai consolidato: erano finite in streaming le due stagioni della bellissima serie Mindhunter (in foto), poi sospesa per “costi troppo alti”, e Mank, ultimo lungometraggio di Fincher approdato in piattaforma a fine 2020, in piena pandemia, per poi uscire quasi a mani vuote dalla notte degli Oscar (fu premiata solo la fotografia in bianco e nero di Erik Messerchmidt, richiamato anche in quest’ultimo film).
Proprio Mank aveva fruttato a David Fincher la terza nomination (non concretizzatasi) come Miglior Regista, dopo le due andate a vuoto per Il curioso caso di Benjamin Button (era l’anno di Non è un paese per vecchi) e The Social Network (venne premiato Tom Hooper per Il discorso del re). Nessuna candidatura gli erano valsi invece i suoi numerosi thriller, a cominciare dal seminale Se7en, punto di svolta del genere destinato ad essere saccheggiato in lungo e in largo negli anni a venire, passando dal meccanismo di The Game al claustrofobico Panic Room fino allo strepitoso Zodiac (per chi scrive, il suo capolavoro), proseguendo con Millennium - Uomini che odiano le donne e terminando con l’ottimo Gone Girl - L’amore bugiardo (nell’immagine). È ancora presto per fare previsioni, ma dubitiamo che le cose possano cambiare con The Killer, film troppo glaciale e distante dalle tematiche più à la page e troppo sottilmente politico per intercettare i favori dell’Academy. Detto questo, e sperando di essere smentiti, riteniamo invece che The Killer sia l’ennesimo film straordinario di un regista fondamentale del cinema contemporaneo, e speriamo nell’unica recensione di oggi (con spoiler, trattandosi di un thriller riteniamo giusto avvisare) di poter argomentare adeguatamente.
Non mancano, intanto, i motivi per andare in sala: il commovente The Old Oak di Ken Loach (in foto), La chimera di Alice Rohrwacher, Napoleon di Ridley Scott, e nelle prossime settimane Silent Night di John Woo, Afire di Christian Petzold, The Holdovers, Godzilla Minus One, Coup de Chance di Woody Allen, Ferrari di Michael Mann e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo per dirvi che a dicembre la frequenza di Happy Hour aumenterà temporaneamente, diventando (sperabilmente) settimanale: corriamo al cinema!
The Killer
di David Fincher
“Stick to the plan. Anticipate, don’t improvise. Trust no one. Fight only the battles you’re paid to fight. Ask always: what’s in it for me?”
All’inizio di The Killer un sicario senza nome, vestito a suo dire come un turista tedesco (ma in realtà chiaro omaggio all’outfit di Alain Delon in Le Samourai di Jean-Pierre Melville) ripete ossessivamente frasi come queste. Ovviamente, un imprevisto lo porterà a dover uscire dal seminato, costringendolo ad infrangere tutti i dettami di questo Credo e a girare il mondo sotto false identità alla ricerca dei suoi nemici fino ad un finale coerentemente anticlimatico.
Nella linearità dei sei capitoli + epilogo di The Killer c’è dunque un chiaro intento di decostruzione progressiva di un’etica (lavorativa): non a caso l’assassino prezzolato amante degli Smiths interpretato da Michael Fassbender arriverà, alla fine del suo percorso, a rinunciare addirittura ai ferri del mestiere, non adoperando la pistola nell’incontro nel lussuoso attico di un grattacielo con il milionario “cliente”, cui verrà risparmiata la vita.
Se effettivamente la sceneggiatura non prende svolte impreviste (non che ci sia nulla di male) quello che non si può in alcun modo dare per scontato in The Killer è la messa in scena: David Fincher è notoriamente un regista maniacale, disposto a rigirare decine di volte anche scene apparentemente banalissime (citofonare Mark Ruffalo a tal proposito) per realizzare le proprie idee nella maniera più “perfetta” possibile. In questo senso, come è stato riconosciuto anche dai più scettici, The Killer è un film assolutamente magistrale, di precisione che non esitiamo a definire kubrickiana. Basti citare la scena del tentato omicidio parigino, giocata su un gioco di sguardi depalmiano ed un continuo entrare e uscire dalla soggettiva del sicario (sia sotto l'aspetto visivo che uditivo, con il volume di How Soon is Now? che aumenta e diminuisce di intensità) e la violentissima lotta in Florida con “la bestia”, tra le più tese viste negli ultimi anni. Michael Fassbender, zero battiti di ciglia in quasi due ore di presenza sullo schermo, contribuisce a delineare un uomo-macchina letale anche quando gira le chiavi dell’auto o butta una penna nell’immondizia, fedele adepto di una religione che sta pian piano tradendo, fino ad allontanarsene del tutto.
The Killer, dunque, sarebbe un grande film già così, in quanto puro e “semplice” thriller, come Cinema che basta a se stesso. Ma c’è dell’altro.
“I was looking for a job and then I found a job // And heaven knows I’m miserable now” (The Smiths)
Il caso ha voluto che questo numero di Happy Hour uscisse proprio pochi giorni dopo il Black Friday, il Natale laico della società dei consumi in cui molti di noi si sono cimentati in acquisti acrobatici di prodotti più o meno necessari, spesso e volentieri passando dalla piattaforma Amazon. Proprio il logo di Amazon, assieme a quello di molte altre celebri marche (FedEx, Hertz, Airbnb…) compare spessissimo in The Killer: quello che però superficialmente potrebbe sembrare un maldestro tentativo di product placement è in realtà una pistola fumante, un indizio, una pista interpretativa per un film dallo sviluppo apparentemente lineare.
Il personaggio di Fassbender è un lavoratore a contratto, una versione deluxe di un rider o di un autista di Uber. Non ha nome (nel film non viene mai menzionato) ma allo stesso tempo ne ha tantissimi, cambia identità praticamente ogni giorno per motivi, ancora una volta, lavorativi ed è completamente spersonalizzato. È consapevole che il mondo si divide in due categorie (“the few”, i pochi, “the many”, i molti) e che i pochi hanno sempre sfruttato i molti. Il credo che ripete ossessivamente, tentativo disperato di convincere innanzitutto se stesso e di rimanere concentrato sui propri obiettivi, se letto da chi non ha visto il film potrebbe tranquillamente venire scambiato per il decalogo di Jeff Bezos o Elon Musk.
L’imprevisto di Parigi e la conseguente violenza subita dalla sua compagna lo costringono però a guardarsi indietro: chissà che Heaven knows I’m miserable now degli Smiths (presente in colonna sonora) non gli avesse messo la pulce nell’orecchio già da prima… fatto sta che, al termine di una battaglia che non era pagato per combattere, sulla cima di un grattacielo iper-moderno, davanti al responsabile della ritorsione subita, il personaggio di Fassbender decide di appendere la pistola al chiodo: di non uccidere, lui che per lavoro veniva pagato per farlo: di scioperare. Shoplifters of the world // Unite and take over, cantano gli Smiths: e così, il sicario temibile che professava di voler essere “one of the few” si ritrova a bordo piscina, immerso in una calma apparente, a dichiarare felicemente di essere finalmente diventato “one of the many”, e quasi (quasi, per carità) sbatte le ciglia per la prima volta. Volendo usare una formula che fa tanto secolo scorso, potremmo dire che ha sviluppato una qualche forma di “coscienza di classe”; in questo senso dunque, volendo semplificare, potremmo quasi descrivere il finale di The Killer come “positivo”…ma ne siamo proprio sicuri?
Nella scia di morte che si è lasciato alle spalle, il nostro non ha mostrato pietà per nessuno: il perfido avvocato che gestiva il giro degli omicidi, certo, e il bruto che ha fatto cose indicibili alla sua ragazza, ma nemmeno la sicaria più “professionale” interpretata da Tilda Swinton, la segretaria inerme del suddetto avvocato e, soprattutto, l’incolpevole tassista dominicano che, ignaro di tutto, aveva scarrozzato i due killer fino alla magione del protagonista. Guarda caso, a venire risparmiato infine è proprio l’individuo più ricco e potente della catena, il “cliente”, il tycoon americano che ha commissionato il primo omicidio, e che però sembra non avere idea del perché un assassino si presenti una sera a casa sua minacciandolo con una pistola (ed interrompendolo, si noti, nel bel mezzo di una telefonata di lavoro). Nel frattempo, il televisore alle sue spalle trasmette, silenziato, dei grafici raffiguranti gli andamenti della borsa. Siamo proprio sicuri che convenga essere one of the many?